LE NUVOLE DI ARISTOFANE AL TEATRO ARCOBALENO 

 

Il giorno 16 febbraio 2023 le classi del triennio del Liceo Classico Marco Terenzio Varrone di Rieti si sono recate in orario scolastico presso il Teatro Arcobaleno di Roma per prendere visione della commedia Le nuvole di Aristofane, messa in scena dalla compagnia Castalia, con adattamento e regia di Vincenzo Zingaro.

Il luogo è raccolto e gli studenti lo hanno quasi riempito, ma ciò si dimostra un vantaggio perché la sonorità non si è mai dispersa e la platea piena ha colmato l’edificio permettendo una "full-immersion" nella finzione teatrale.

Prima dell’apertura del sipario viene presentata la commedia: ci si sofferma sulla scelta del regista di rimanere fedele non solo al testo originale, ma anche di far uso degli stessi espedienti drammatici della commedia arcaica, αρχαια κομꞷδια, tra cui l’utilizzo della maschera, πρωσοπον, durante l’intera recitazione da parte di tutti i personaggi.

La rappresentazione comincia e immediatamente si può notare come tutte le anticipazioni fossero veritiere: i meccanismi del riso sono gli stessi di Aristofane, o almeno per quanto ne sappiamo dalle fonti dirette o indirette giunte ai nostri giorni, studiate da attori e registi per rivestire i ruoli dei suoi personaggi nella maniera più fedele possibile.

Il turpiloquio, αισχρολογια, e il doppio senso non mancano di certo, come anche i nomi parlanti, che hanno in essi ciò che la persona rappresenta o il contesto da cui proviene, le onomatopee e gli effetti sonori, tra cui i peti dei personaggi.

Il registro è decisamente variabile e oscilla tra la rozzezza di Strepsiade, il protagonista, contadino sommerso di debiti, per colpa del figlio Fidippide che ha la passione per i cavalli e i sofismi altisonanti di Socrate, maestro di retorica, secondo Aristofane, da cui il vecchio vuole imparare l’arte della parola per vincere le sue cause in tribunale.

L’attinenza al testo è capillare e in alcuni punti si può seguire lo scritto originale parola per parola. L’azione comica è inoltre arricchita da numerose caricature: i gesti sono decisamente accentuati, in particolare la camminata e la goffaggine generale dei personaggi. Sul palco compaiono dei "tipi" divertenti, abilmente presi in giro da Aristofane, come ad esempio dei creditori ubriachi che sbandano sul palco suscitando il riso del pubblico. Quest’ultimo è certamente coinvolto, e infatti il meta-teatro è un punto cardine della commedia, sin dalla sua origine, rintracciabile nelle "falloforie" e nei cortei "itifallici": il pubblico è "vittima" del motteggio da parte dei personaggi e la parabasi, fase finale della commedia, è ereditaria di questo patrimonio folcloristico.

Non trascurabili sono i travestimenti e le movenze di alcuni personaggi: i discepoli di Socrate sono vestiti da uccelli e si muovono come tali, simulando anche il beccare per terra, dimostrandosi persone che non guardano che in basso, senza ambizione e senza concretezza, attaccate al materialismo e quindi si rivelano dei "ventri obedientes", come li definirebbe Lucio Anneo Seneca. Aristofane stesso li vestiva in tal modo e questa scelta rafforza la critica alla sofistica e al sistema scolastico, precisando però che la figura di Socrate è inserita erroneamente in questo filone, sebbene sia anch’egli un pensatore “di rottura” e molto innovativo per i suoi tempi.

Una menzione d’obbligo va al coro delle Nuvole, a cui il regista dà voce femminile: le attrici Laura de Angelis, Sina Sebastiani e Valeria Spada si muovono leggiadre, soffici e aleatorie, proprio come Aristofane voleva far passare queste divinità dei sofisti, essendo egli un tradizionalista, devoto ai numi olimpici.

Non solo è lodevole la presenza di numerose attrici nella compagnia, sapendo che le donne nel θεατρον, classico non potevano rivestire alcun ruolo, ma invece li interpretano molto bene, in particolare quelli del coro delle nuvole, dando a questo armonia e personalità, intersecando l’ironia comica con un tono solenne, parodistico della tragedia, in quanto divinità.

La rappresentazione termina con ribaltamento e battuta finale, απροσδοκετον, come da prassi con Strepsiade che dà fuoco al pensatoio, la scuola di Socrate, rifiutando i fittizi insegnamenti impartiti a lui e a suo figlio e ribadendo il rispetto dei numi che Socrate e i suoi avevano dissacrato.

Presentati gli attori tra gli applausi meritati di studenti e insegnanti, il sipario si chiude.

Se sulle scelte del regista non c’è molto da discutere in quanto fa valere l’"ipse dixit" di Aristofane, non allontanandosi mai dalle direttive del drammaturgo di Cidatene, è molto interessante il confronto con gli attori protagonisti Fabrizio Passerini e Piero Sarpa, che interpretano rispettivamente Strepsiade e Fidippide, a sipario aperto dopo la fine dello spettacolo. La finzione letteraria si spegne e si fa spazio il dibattito sui temi della commedia: la critica alle istituzioni vecchie che hanno perso la loro nobile autorità, come la scuola, e alle nuove, come il pensatoio di Socrate che illude i suoi studenti insegnando loro un utilizzo del “discorso ingiusto”, personificato nella recitazione, che dovrebbe rendere imbattibile in oratoria colui che lo ha fatto proprio, ma non porta il risultato sperato.

La riflessione si concentra anche sulla critica poetica che Aristofane rivolge al suo contemporaneo tragediografo Euripide: essendo un tradizionalista, egli rifiuta l’azione euripidea di mettere in dubbio la solennità delle istituzioni politiche e culturali, una tra tutte la religione, preferendo a questo Eschilo che invece fa baluardo della sua produzione il "mos maiorum" greco.

Si discute del tema padre-figlio: Fidippide, imparando ad usare il discorso ingiusto, dove Strepsiade aveva precedentemente fallito, arriva non solo a picchiare quest’ultimo, giustificando con le parole il suo diritto a fare ciò, ma anche a presentarlo come una pratica che facesse il bene di suo padre.

Importante inoltre l’excursus che i due attori fanno sulla maschera e sul suo utilizzo: anticamente di legno, funzionale per l’amplificazione della voce per farla arrivare fino alle file più in alto del teatro, era importante perché permetteva agli stessi attori, che ai tempi non erano molti, di rivestire più ruoli. Ad oggi le troviamo in silicone, quindi, anche se perdono la loro funzione sonora permettono comunque l’interpretazione di più ruoli: nel teatro antico non recita l’attore, ma è proprio la maschera l’assoluta protagonista; essa, infatti, era ben riconoscibile, tanto che alcune rimandavano a personaggi reali come dirigenti e uomini politici o eroi mitici, e fa sì che la finzione teatrale raggiunga il massimo livello. Non a caso i due attori che ne parlavano le tenevano solennemente in alto o in vista del pubblico, evidenziandone la grande importanza.

Il sofismo dell’Atene di Aristofane viene infine attualizzato ai giorni odierni, ricercando nella società contemporanea la presenza della demagogia che illude milioni di persone ogni giorno, specialmente ora che può arrivare a tutti coi mezzi di diffusione di massa e gli influencers ne sono un esempio, concludendo che solo la cultura, specialmente quella classica greca e latina, è il migliore antidoto contro il conformismo, che vuole invece annullare il nostro essere unici.

Termina così un incontro di riflessioni, spunti e tematiche ancora attuali per tutti gli studenti, che hanno sperimentato in prima persona l’intento della commedia greca, "delectare et monere". Ciò ha sicuramente dato un contributo interdisciplinare allo studio, tale che vada oltre il libro di testo; insomma, un incontro per i licei classici, gli ultimi eredi di questo grande κοσμος.

 

Tommaso Magi, 3A
a.s. 2022/2023